Per raccontare il mio lavoro, faccio spesso ricorso all’universo semantico della montagna: sentiero, percorso, passi, zaino, mappa, paesaggio, fiducia sono tutte parole che utilizzo con frequenza.
Ma non sono solo parole e immagini che rubo all’andar per monti. Anche l’esperienza professionale.
La guida alpina, mestiere di montagna, è un’ottima metafora per chi, come me, si occupa di formazione.
La persona (o il gruppo) sceglie la sua montagna, la cima da raggiungere. E la guida alpina accompagna, adattandosi al ritmo dei passi altrui, mettendo a disposizione conoscenze, materiali e strumenti. Procede in cordata – andando avanti nei passaggi più esposti e tecnici, restando per lo più dietro durante le discese, camminando a fianco nei tratti più piacevoli.
Una “buona” guida alpina la riconosci per l’esperienza, la consapevolezza, il sapere. Ma anche, e forse innanzitutto, per la flessibilità, la capacità di adattamento, la creatività, la tolleranza. Una “buona” guida alpina, insomma, sa muoversi nell’incertezza.
Ed ecco il nucleo della metafora. Anche io sono una professionista dell’incertezza. Un’incertezza che deriva dalla contingenza (delle situazioni di vita) e dalla varietà (degli esseri umani).
- Mi inserisco nel percorso lavorativo delle persone solo per un breve tratto, senza vederne l’esito. (Tutti i percorsi, anche quelli più lineari, hanno un finale aperto, misterioso.)
- E mi tocca ricominciare sempre da capo, scoprendo le specificità di ognuno e rispettandone l’unicità. (Ogni persona è diversa da ogni altra e il mio è un lavoro “su misura”.)
Continuo a studiare, mi tengo aggiornata, accumulo esperienza, mi confronto con tante colleghe, divenendo così sempre più preparata, competente e consapevole. Eppure, sono una “buona” formatrice solo se, davanti a ogni persona o gruppo, riconosco di non poter essere certa di nulla. Ovvero se accetto che ciò che ha già funzionato in precedenza potrebbe non funzionare questa volta. E quindi mi predispongo a scoprire come accompagnare quella persona o gruppo, in quella specifica situazione, considerati certi vincoli.
Insomma: tocca ogni volta, con ogni gruppo o persona, scordare per poi reinventare, reimparare.