Dico spesso di assumere, in consulenza, una postura pedagogica. O di adottare, in aula, lenti pedagogiche.
Purtroppo, essendo la pedagogia una disciplina poco conosciuta e molto fraintesa, queste mie affermazioni possono risultare confuse, ambigue o criptiche. Provo, allora, a fare un po’ di chiarezza.
Cos’è la pedagogia?
Pedagogia deriva dal greco “paidagogia” ovvero dal sostantivo “paidos” (bambinə) e dal verbo “ago” (guidare, accompagnare). E infatti nell’antica Grecia i pedagoghi erano schiavi che accompagnavano bambini e bambine nel tragitto da casa a scuola e da scuola a casa.
In epoca romana il significato del termine pedagogo inizia a spostarsi, via via avvicinandosi sempre più all’area dell’insegnamento, fino ad arrivare a coincidere, di fatto, con quello di precettore. Ma già nella Grecia antica, in verità, ci si preoccupava della crescita e dello sviluppo di bambini e bambine, si discuteva e si scriveva di questioni pedagogiche, seppur nell’ambito della filosofia. La pedagogia, infatti, non era considerata una vera e propria disciplina, bensì un ramo della filosofia.
Durante il positivismo, la pedagogia diviene una scienza – la scienza dell’educazione – in quanto inizia ad avvalersi del metodo scientifico, ovvero a ricorrere all’osservazione, all’analisi dei dati (provenienti dalla realtà socio-culturale), alla realizzazione di esperimenti. Basti pensare a Montessori, Piaget e Bruner.
Ma solo alla fine dell’800 la pedagogia comincia ad acquisire una sua autonomia, delineandosi come quella disciplina che si occupa delle questioni relative all’apprendimento, alla formazione e all’educazione, anche attingendo ai contributi delle altre discipline umanistiche (filosofia, psicologia, psicoanalisi, sociologia, antropologia) e delle neuroscienze.
Attualmente, con il termine pedagogista indichiamo professionistə espertə dei processi educativi, formativi e dell’apprendimento, che si occupano dello sviluppo dell’essere umano lungo l’intero ciclo di vita. Il vocabolario Treccani definisce la pedagogia come «la disciplina che studia i problemi relativi all’educazione e alla formazione dell’uomo, avvalendosi dell’apporto di numerose altre scienze, allo scopo di indicare i principi, i metodi e i sistemi su cui modellare la concreta prassi educativa».
Una scienza contaminata e contaminante, quindi.
Qual è la specificità dell’approccio pedagogico?
La pedagogia persegue il benessere, inteso come il massimo livello possibile di sviluppo e adattamento dell’organismo all’interno dell’ambiente di vita. Senza indicare soluzioni o fornire istruzioni, ma anzi individuando, promuovendo e sviluppando le risorse interne (cognitive, affettive e relazionali) della persona.
Lo strumento principale della pedagogia è la relazione. E’ innanzitutto attraverso la relazione, cioè, che pedagogisti e pedagogiste lavorano per la costruzione del benessere. E quindi la relazione dura il tempo che serve: quello necessario al raggiungimento di un obiettivo.
L’approccio pedagogico, quindi, è umanista, non prescrittivo, relazionale.
A cosa (mi) serve la pedagogia nel mio lavoro?
A tener fede ad alcuni principi pratici, a ricordarmi che
- gli esseri umani sono sempre situati, ovvero collocati in un punto della loro storia e inseriti in un ambiente (fisico) e in un contesto (sociale e culturale);
- promuovere lo sviluppo e la fioritura significa innanzitutto riconoscere, valorizzare e stimolare risorse e potenzialità;
- rimproverare, correggere e mortificare, così come soccorrere, sostituirsi e saturare, sono azioni e atteggiamenti contrari all’autonomia e all’autodeterminazione;
- nei percorsi di formazione e consulenza, la relazione con la persona (o con le persone del gruppo) non è mai un fine, sempre un mezzo; e quindi è temporanea, finalizzata e intenzionale.
Ecco. Assumere una postura pedagogia e usare lenti pedagogiche, per me significa adottare questi quattro assunti come punti cardinali della bussola.